giovedì 30 agosto 2018



 

Capitolo XXII

 

(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

 

15 febbraio 1720

L’armata navale costretta a rimanere nel Porto di Milazzo a causa delle avverse condizioni atmosferiche 15 febraro. Da tutti l’abitatori di questa città si principiò a star con molto cordoglio e timore. Poiché, continuando il mal tempo con vento valido di Libeccio, oltre il mare in tempesta con pioggia, senza speranza di puoter partire la dett’armata navale dal Porto, ed essendo questa sprovista d’ogni vivere, specialmente di farina per farsi il pane di monizione per tante truppe e lor’officiali e per tanta quantità di marinari, avendosi per il passato fatto la provisione con la provianda che si ritrovava nelli magazeni per conto della R[egia] C[orte] e questa pure finita, onde si dubitò che non sieguisse alcun inconveniente notabile contro questi poveri cittadini. Ed inoltre per aversi osservato che volendosi provisionare dett’armata con vettovaglie pure a prezzi alterati, nemeno si potevano retrovare nella città, la quale si ritrovava esausta d’ogni vivere. E benché il pane era nelle piazze, si valutava a grana quattro per ogni nove onze, e di mala qualità. Comprandosi infine un fascietto d’insalata per grana tre, tutte le volte che si puotea ritrovare, quando pria tre e quattro fasci si compravano per grano uno.

 

16 febbraio 1720

Gli amministratori municipali di Novara, allo scopo di relazionare in merito alla presenza delle truppe spagnole nel loro comune, inviano in loro rappresentanza un sacerdote ed un cittadino fiorentino presso il comandante militare di Milazzo barone Furstemburgh, il quale richiede però la presenza degli stessi amministratori 16 febraro. Vennero dalla terra della Novara il Padre Priore del convento di San Georgio dell’ordine di Sant’Agostino ed un gentiluomo fiorentino nominato Giobattista [segue parola di ardua lettura, ndr], qual da più tempo si ritrovava in detta terra, inviati da quelli giurati per dar sodisfazione al signor baron Furstemburgh, coronello comandante in questa Piazza. Doppo molte loro giustficazioni sopra il loro procedimento in tempo che si ritrovavano le truppe spagnuole, per non aver possuto adoprar differentemente, in risposta solo si puoté ottenere che venissero gli giurati di presenza per dar la sodisfazione dovuta. Perloché il sudetto Padre Priore Augustiniano retornò in detta terra per recar l’ambasciata a quelli giurati, con aversi trattenuto il fiorentino in questa città, aspettando sudetti giurati.

 

17 febbraio 1720

Truppe nel circondario in cerca di legname a spese dei civili che si accontentano di contribuire alle spese pur di non subire altre devastazioni.  In verità seguono ennesime razzie accennate con tono ironico dall’Autore 17 febraro. In questo giorno all’alba uscirono in campagna molte truppe dell’armata in più squadre per far legna, conducendo seco molti carri con bovi approntati da questi cittadini a sue [loro, ndr] spese solo per conferirsi nella Comarca e per non devastare questo territorio e Piana. Ed alla sera se ne retornarono. E s’osservò che le sudette truppe allorché sono destinate a far legna per provisione di dett’armata si conferiscono con molt’allegria, poiché per loro nella ricerca di legna s’intendevano compresi tutti quelli mobili, animali ed altro che per accidente se l’incontrava.

 

18 febbraio 1720

Cinque disertori spagnoli, uno di cavalleria e quattro di fanteria. Armistizio possibile a patto che gli spagnoli abbandonino Palermo. Il capitano di Tripi omaggia a Milazzo il comandante della Piazza18 [febbraio]. Desertarono in questo giorno cinque soldati spagnuoli, uno di cavallo e l’altri di fanteria, essendo l’ultimi quattro del regimento d’Asturias ed il primo di quello de’ Valloni.

Promulgò il detto signor baron Furstemburgh, comandante, a molti suoi familiari di questa che il signor marchese de Lede, viceré delli Spagnuoli, avesse inviato ambasciata al signor generale de Mercij, comandante dell’Armata di sua Maestà Cesarea e Cattolica, voler che si facesse l’armestizio per due mesi. E che dal detto signor generale de Mercij s’avesse risposto che, slogandosi dalla città di Palermo tutte le sue truppe spagnuole, l’avrebbe concesso tal armestizio per più tempo dal richiesto.

Ben tardi venne in questa città il capitano della terra di Tripi e, avendo discorso con questo signor comandante, ricevette la sua soddisfazione. Bensì con un bel regalo d’una vitella, più some di paglia, oglio ed altro restò più appagato il superiore.

 

Emergono i motivi che avevano spinto il comandante della Piazza a richiedere la presenza degli amministratori comunali di Novara di Sicilia, filo-spagnola per necessità secondo gli stessi amministratori, che tentavano dunque di sfuggire alle proprie responsabilità Pure vennero tre giurati della terra della Novara assieme con Don Mercurio Stancanella, capitano di detta terra, per sodisfare [relazionare e giustificare il proprio operato, ndr] al detto signor comandante di questa città. Ma questi li negò l’udienza, anzi ordinò che fossero sequestrati [arrestati, ndr] nel Regio Castello. Ma doppo si sodisfece che si trattenessero nello convento di San Papino fori la città. Bensì si fece a sentire, per mezzo d’altri, che aveano processo in detta terra contro l’arme di sua Maestà Cesarea e Cattolica, pure doppo aversi prestato giuramento con tutte le sollennità dovute. Che però [si] volea in ogni modo che s’adempisse da quella terra tutto quello che dal medemo comandante s’avea, con ordine circolare per tutta la Comarca, tassato circa la condotta [trasporto, ndr] di legna, fascine, orgio e paglia per servizio delle truppe - così di cavalleria come di fanteria - che presidiavano questa città. Magiormente che tutte le città e terre della Comarca aveano complito in parte e da detta terra della Novara non s’avea dato principio alcuno, ed esser perciò contumaci. E di più si dichiarò voler approntare le tande regie da molti tempi scorsi maturate e furono necessitati sudetti giurati protestarsi che col tempo avrebbero complito in tutto, non avendo possuto per il passato eseguirlo, per aversi sempre ritrovato nella loro terra molte truppe di spagnuoli, con aver colà fatto residenza permanente. Ed intanto vennero [Ed intanto dissero di essersi recati, ndr] in questa città per aversi ritirato dette truppe. E così pretesero legitimar il loro operato per aver successo per necessità, intimoriti dalli Spagnuoli. Ma dal signor comandante si asseriva [al contrario] che intanto si conferirono li Spagnuoli in detta terra poiché furono da essi paesani chiamati [richiesti, ndr].

 

19 febbraio 1720

Continuano le razzie delle truppe imperiali nella Piana e nel circondario. A Condrò disfatte molte botti di vino 19 febraro. Al solito molte truppe dell’armata a più quatriglie divise [disposizione di 4 persone affiancate, ndr] uscirono in questo territorio col pretesto di far legna. Ed infatti alcune battuglie volsero in questa Piana tagliar molt’alberi fruttiferi remasti o per industria delli padroni che si ritrovavano presenti nell’assedio delli Spagnuoli o[ppure] per convenienza d’alcuni signor generali che stavano nelle case delli luoghi ove esistevano detti alberi. O [ancora] per altra contingenza. Altre battuglie, avendosi dilatato nella Comarca, pervennero in alcuni luoghi sino al territorio della terra del Condrò, ove stavano repostate molte botti di vino. E non puotendo far altro, redussero dette botti in fasci e se le condussero in questa città con aver processo ad altre peggiori azzioni. E pure non si puotea sedare l’insolenza di dette truppe, per non inciamparsi ad alcun più sinistro contingente, pure nella vita. Fu necessario tolerarsi tutto ciò. E benché l’istesse truppe fossero state condotte sotto il governo d’alcuni officiali molto discreti e persone d’onore, pure questi non puotevano trattener l’arroganza delli soldati.

 

A causa delle avverse condizioni atmosferiche, tra tutte la forte tempesta in mare, le truppe imperiali sbarcano, sequestrando fabbricati civili, conventi e chiese in cui pernottare. Fanno eccezione la chiesa di Maria SS. della Catena e le parrocchie di S. Maria Maggiore e S. Giacomo Ha seguito così veemente il mal tempo, con vento validissimo di Libeccio e con acque piovane e freddo eccessivo, oltre la tempesta nel mare, che le truppe sopra l’armata colli lor’officiali, sentendosi perire sopra l’imbarcazioni, pretesero aver alcuna quiete con togliersi di sopra le barche, volendosi aqquarterarsi in città. Onde da questo signor comandante s’assignarono molte chiese e conventi per li soldati e molte case per l’officiali. D’una parte dovevano esser compassionati poiché molto han sofferto, ma dall’altra non si ritrovava dove darsi l’albergo a tant’officiali e soldati, in tempo che tutta la città nella magior parte esisteva demolita e quartieri per intiero redotti in terra piana ed altri discoperti. Del che si può reflettere l’angustie ed afflizioni di tutti gli abitatori, mentre nel tempo che in una casa - ancorché piccola con una stanza - commoravano più fameglie o di congionti o di parzial’amici, volevano commorare con esse ed officiali e soldati. Ed infatti molte persone, per non aver ove retirarsi, furono fo[r]zate unirsi, stringendosi in alcun angolo della casa richiesta. Ed altre lasciar in abbandono la propria stanza per commorare gli soldati. Ma per esser questi molti, si continuò nella ricerca di più case. Ed il peggio fu che tutti gli conventi furono pieni con molti signori generali, coronelli ed altr’officiali. [E] le chiese parte servendo per magazini della Provianda per le truppe e parte per quartieri delle medeme. E s’osservò che di tutte sudette chiese, quella sotto titolo di Santa Maria della Catena solamente servia per celebrarsi le messe, oltre le Parocchiali. E pure in questo giorno si fece quartiero delli soldati dell’Armata.
 
 


 
Il barone Bertram Anton von Wachtendonk si trovava al comando dell’armata navale, ossia della flotta (“convoglio”) che avrebbe dovuto trasportare le truppe imperiali sino a Trapani. Missione portata a compimento - come avrebbe scritto il Barca - dopo non pochi tentativi a causa delle avverse condizioni meteorologiche che costrinsero i navigli a rimanere nel Porto di Milazzo per lungo tempo. Ne dava notizia anche il Corriere Ordinario (Avisi del 10 aprile 1720): «Durante la dimora del nostro convoglio a Melazzo, nel qual Porto il medesimo ha dovuto rientrare 5 a 6 volte». Il convoglio fu avvistato a Trapani il 2 marzo 1720. Due giorni dopo lo stesso Corriere Ordinario avrebbe dato conferma dell’arrivo a Trapani, annunciando nel contempo la morte dello stesso barone von Wachtendonk, «suffocato da un cattarro» proprio a bordo di una delle navi provenienti da Milazzo. Bertram Anton von Wachtendonk (1674?-1720) aveva combattuto i Turchi  nelle fila dell’esercito imperiale sia alla fine del Seicento che nel 1717, in occasione della conquista di Belgrado. In memoria di quest’ultima vittoria fu fusa in suo onore nel 1718 la campana di una chiesa di Gemert in Olanda, poi fusa durante il secondo conflitto mondiale (cfr. anche il link https://wagtendonk.antville.org/stories/1555307/). Ad essere impegnato in Sicilia anche un altro barone di Wachtendonk, Karl Franz (1694?-Livorno 1741), il quale militava sin dal 1716 nel reggimento di fanteria Guidobald von Starhemberg (cfr. Grosses vollständiges Universal Lexicon aller Wissenschaften und Künste, volume 52, Lipsia 1747, pagg. 343-346). Prese parte alla Battaglia di Francavilla ed all’Assedio di Messina. Il Corriere Ordinario del 10 aprile 1720 lo cita col grado di tenente colonnello (Avisi, pag. 63). Con tutta probabilità partecipò anche alla Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718, visto che il reggimento Guido Starhemberg fu impegnato proprio in tale combattimento. Qualche decennio dopo avrebbe assunto il comando delle truppe imperiali in Toscana.
 

 

 

20 febbraio 1720

Tra le diverse interpretazioni sulle origini delle avverse condizioni atmosferiche anche la stregoneria 20 febraro. Fu cossì guagliardo il vento di Libeccio la notte scorsa che sembrava subbissarsi tutta la città, non puotendosi commorare nemeno nelle stanze terrane delle case. E tutte l’imbarcazioni dell’armata molto pericolarono, travagliandosi per tutta la notte dalli marinari affinché fossero ben corredate con più gomine le sudette loro barche. Per certo che si scorgea proceder tutto ciò per apparente flagello di Dio per le nostre colpe. E[p]pure s’aumentavano gli misfatti e peccati, piuttosto che si tralasciassero. Appropiandosi [attribuendosi, ndr] queste turbolenze alle cause seconde, e non al castigo che dall’ira divina procedea. E molti, demostrandosi più saccenti dell’altri, asserivano che derivava tal tempo dall’astri e della luna e non puotersi accomodare se non passavano li quarti della medema sino al plenilunio. Ed a tal segno pervenne la cecità di molte persone discorrendo d’astrologi perfettissimi, trascurando riconoscere la prima causa. Altri, reflettendo proceder il tempo cattivo e contrario per far partita dett’Armata a prestiggio diabolico prodotto per opra di streghe, s’appagavano con questa veridica o falsa presupposizione. Ed infatti, conoscendosi aver eccesso al sommo il vento furioso da Libeccio per tanto tempo ed aver l’Armata retornato per cinque volte nel porto con molto suo fastidio doppo l’imbarco fatto nel porto di Messina, innanzi le feste di Natale. E ciò non aver seguito altre volte.

 

Il Padre domenicano Raimondo Proto si reca sul poggio di S. Rocco per tentare di sedare il maltempo, spargendo acqua benedetta e gettando al vento alcuni minuscoli frammenti del miracoloso mantello indossato da S. Vincenzo Ferreri Un Padre religioso domenicano si conferì sopra il monte di Santo Rocco e con molte preci scongiurò tal vento. Anzi, per sedarsi, collo spargimento d’acqua benedetta buttò nell’aria a dirimpetto del sudetto vento alcuni fili della cappa che portò addosso in tempo di sua vita l’Angelo dell’Apocalissi, il Glorioso San Vincenzo Ferrerio. Una parte della quale cappa conserva per reliquia speciale il sudetto Padre domenicano, Padre lettore fra Raimondo Proto, per aversi sperimentato col solo tatto di questo sacrato panno molti portenti, specialmente verso gli ammalati fuor di speranza di vivere.

 

Penuria di foraggio per i cavalli (con la conseguente morte di molti di essi) e di farine, tanto che si ricorre a quelle stipate sulle navi allo scopo di panificare per le truppe, le quali quotidianamente necessitavano di 9.000 porzioni di pane Tutti gli signori generali ed altr’officiali che si ritrovavano sopra l’Armata, [così] come il signor baron Furstembergh, comandante nella Piazza, si tormentavano per non esservi - né sopra le barche, ove commoravano tante truppe, nemeno nelli magazeni della provianda per le truppe sudette in questa città - né paglia, né orgio per la cavalleria imbarcata e per l’altra residente di presidio in questa, tanto che s’aveano dell’intutto macerati gli cavalli con la morte di molti. Come pure non esservi più farine in detti magazeni per farsi il pane di monizione, necessitando ogni giorno novemila porzioni di pane per gli officiali e soldati, oltre d’altra quantità e per le persone della proveditoria e per altre. Onde in questo giorno si stabilì che per farsi detto pane di monizione per il giorno seguente si disbarcarono [disbarcassero, ndr] dalle navi e tartane di dett’Armata le farine che sopra quella si ritrovavano. Perloché s’implorava da Dio che non seguisse peggior inconveniente.

 

21 febbraio 1720

Continua il maltempo, attenuatosi soltanto nel tardo pomeriggio 21 febraro. Fu così guagliardo il vento da Libeccio incalzato dalla notte scorsa, che si credette senz’alcun dubio di sobbissarsi l’universo, non puotendosi nemeno star nelle case. Solamente sonandosi le campane in tutte le chiese per placarsi l’ira di Dio. Anzi, gli sacerdoti e regolari e secolari ad altro non attesero che pregare con ferventi orazioni e preci a sua Divina Maestà che si placasse. E di più, altri di più spirito, lacrimanti ed a piedi nudi, uscirono dalle loro abitazioni scongiurando detto vento. Poiché fu così eccessivo che dubitava di precipitarsi sin al suolo tutte l’abitazioni, non avendo sopra di quelle rimasto nemen un canale. E benché avesse persistito il mal tempo così furioso, oltr’il vento molto fiero con aversi ottenebrato l’aria, che pur apportava terrore e spavento sino ad ore dicidotto di questo giorno, nondimeno sembrò aversi sedato detta tempesta, non cessando bensì dell’intutto il vento. E si sperava nella Bontà Divina che continuasse la pioggia già principiata.

 

22 febbraio 1720

Per ordine del comandante vengono rinchiusi nelle prigioni del Castello gli amministratori comunali di Novara di Sicilia a causa del mancato adempimento degli obblighi imposti ai comuni del circondario (“Comarca”)  22 febraro. Ben mattino furono d’ordine del signor comandante posti carcerati nel Regio Castello di questa [città] li tre giurati della Novara. E con giusta cagione, poiché avendoli fatto a sentire il signor comandante di questa voler approntato il tutto conforme l’altre terre e città della Comarca, richiesero gli giurati poter rimettere [ottenere che fosse inviata, ndr] in detta terra [di Novara] persona per l’appronto richiesto. Al che, sodisfatto questo signor comandante, fu inviato il sudetto Don Mercurio Stancanelli, capitano, bensì affidato dal signor Don Francesco Colonna, suo cognato, qual abitava in detta terra da più e più anni, con tutto che fosse stato naturale di questa città, in molta somma di denari. Ed avendo venuto da detta terra un sacerdote nomato Don [lacuna nella copia, ndr] Lombardo, [questi] riferì al comandante che il sudetto capitano di Stancanelli, allorché  pervenne nella detta terra, fu arrestato dalli spagnuoli nelle carceri. Il che inteso dal comandante, conosciuta la fraudolente invenzione, si devenne dal medemo alla carcerazione delli sudetti tre giurati assieme col sudetto sacerdote di Lombardo nel detto Castello.

 

Notizie sull’armistizio Si promulgò pure in questo giorno, con più distinzione, esser veridica la relazione venuta da Messina sopra l’armestizio. Raccontandosi che il signor viceré delli spagnuoli marchese di Lede avesse richiesto l’armestizio al signor generale marchese di Mercij per lo spazio di mesi sei, affinché in questo tempo puotesse slogare [evacuare, ndr] dal regno con tutte le sue truppe. E che dal signor generale de Mercij s’avesse risposto non aver facoltà di permetterli la partita del regno senz’ordine espresso da Sua Maestà Cesarea e Cattolica. E che per soprasedersi nell’arme avrebbe condesceso tutte le volte che dal detto signor marchese di Lede si dasse libero il passaggio a tutte le truppe di Sua Maestà Cesarea e Cattolica con l’esercito da Trapani sino nella città di Messina, compresa quella di Palermo. Se ciò fosse verità, mi rimetto.

 

Persistono le avverse condizioni meteorologiche Il tempo cattivo col vento di Libeccio in questo giorno s’ha molto più incalzato. Anzi, con un freddo così sensibile che rassembra essere scatenato dal più cupo abisso, per esser insoffribile. E la notte scorsa fu così guagliardo il vento che traballavano tutte le case, col timore di non precipitarsi. E non servirono né gli preci quasi di tutti li cittadini, né gli esorcismi di molti reverendi sacerdoti, così regolari come secolari. Peronde evidentemente si scorgette essere stato un castigo di Dio.

 

23 febbraio 1720

La carestia mette in ginocchio i civili e le truppe 23 [febbraio] Era la carestia in città pervenuta nel maggior colmo, molto patendo gli poveri. Poiché, oltre il pane che si ritrovava fatto da farine e meschiate con molte biade, così d’orgio, luppini ed altri, al peso di onze venti per ogni grana otto e di malissima qualità, il vino [era smerciato] a grana otto il quartuccio, tutto tinto venuto da Calabria. Non ritrovandosi né latticinij [e] nemeno formaggi, ed alcuna porzione di questi a tarì uno e grana dieci il rotolo. [Non ritrovandosi ancora] né tonnine di qualunque sorte, né sarde. Infine, se si volea ritrovare un filo d’erbaggi pure a prezzo molto caro, non si potea avere, con tutta la diligenza possibile. Solo per consolazione di tutti si puoteano avere arenghi venute da Calabria, fasole e castagne monde. Onde non si possono raccontare l’angustie ed afflizioni che da tutti generalmente si soffrivano. Si tralasciano gli patimenti sofferti da tutte le truppe, tanto di quelle che si ritrovavano di presidio in questa città e come dell’altre della Armata, non avendo quel sollievo necessario per il loro sostentamento. Oltreché gli principali e generali coronelli ed officiali molto si tormentavano per non aver come manutenersi, non avendo quello [che] richiedevano. Inoltre, correano molte malizie non solo nelle dette truppe, pure per li marinari dell’imbarcazioni di dett’Armata, per il patimento di così lungo tempo. Per certo che non si possono colla distinzione proporzionata descrivere, che per esser in eccesso non si crederebbero, avendo dell’incredibile.

 

La cavalleria imperiale decimata Si raccontò pure che la maggior parte della cavalleria per tanto tempo imbarcata sopra l’Armata s’abbia scemato nella maggior parte con la morte di più cavalli; e l’altra così estenuata, e per essere stata sopra mare in barca per lo spazio di due mesi, e per la mancanza d’orgio e paglia, per essere stata pure la provedetoria per conto regio dell’intutto esausta. Stimandosi più un tumulo d’orgio che di formento, con tutto che questo si comprasse a tarì dodeci in tredeci. Si conoscette evidentemente che il sommo Dio fosse stato irritato per le nostre gravissime colpe. Ed il peggio era che non apparea segno d’emendazione, sormontando peggio di prima qualunque specie di peccati, non ritrovandosi più né carità verso gli poveri, ma continuamente l’usure.

 

Furti nelle abitazioni Oltre la gravissima carestia e penuria d’ogni vettovaglia nella città e gli grand’incommodi per alloggiarsi tante truppe dell’Armata con molti generali, coronelli e personaggi di qualità, retrovandosi pure il signor marchese di Susa - figlio naturale di Vittorio Amedeo, Altezza Reale di Savoia e Re passato in questo Regno - con altri signori di qualità tudeschi, da più giorni s’ha stato con molto riguardo da tutti gli abitatori. Poiché sieguivano allo spesso molti latrocinij nella città, specialmente la notte, rompendosi diverse porte di case dalli soldati per rubbare. Ed altri più astuti si nascondevano in alcune case, con tutto che fossero state piene di persone, e la notte facevano l’inventario. Tralasciandosi che di giorno pure smantellavano alcune case solo per rubbare li legna e tavole. Ed è stato un grandissimo portento che sin ora non abbia successo alcun inconveniente, poiché gli cittadini hanno preteso soggiacere ad ogni cosa per non darsi motivo di reclamori dalli superiori.

 

24 febbraio 1720

Continua il maltempo con pioggia e neve a 24 febraro. La notte scorsa non cessò la pioggia con quantità di neve; e questa mattina fu insoffribile ed eccessivo il freddo, con aver calmato quel vento tanto guagliardo dal Libeccio, bensì non dell’intutto sedato. Le truppe dell’Armata divise in più battuglie uscirono nel territorio e Comarca per far legna: si possono comprendere gli interessi e danni che puotevano succedere.

 

I prigionieri spagnoli, ritrovandosi in gravi ristrettezze, fanno istanza ai comandi militari del Re di Spagna affinché vengano loro corrisposte le paghe arretrate, minacciando di arruolarsi col nemico in caso di rifiuto Pure colla licenza di questo signor baron Furstembergh, comandante della Piazza, fu inviato un tamburro con alcuni soldati alli comandanti spagnuoli da parte delli prigionieri della loro nazione rimasti in questa [città]. Volendo che se li somministrassero le paghe da più mesi dovute, poiché si ritrovavano redotti con molte strettezze, non avendo formalità di puotersi sostentare. Anzi, protestandosi che se non avrebbero [avessero, ndr] ricevuto le somme dovute, forzati dalla necessità e per non morir di fame, dovevano prender partito [avrebbero preso partito, ossia si sarebbero arruolati tra le truppe nemiche dell’imperatore Carlo VI, ndr]. Anzi, si disse che pure molti officiali della medema nazione avrebbero fatto l’istesso, magiormente che questi nemeno conseguivano il pane di monizione giornale, il quale prima si distribuiva con ogni franchezza.

 

Il Cardinale Alberoni viene rimosso dal suo incarico presso la corte del Re di Spagna. Il Duca di Parma rifiuta di accoglierlo nel proprio territorio Si demostrò dal signor generale Vuattendom una lettera ad esso diretta da Genova da 17 del mese trascorso di gennaro, [nella quale si riferiva] che il cardinal Alberone fosse stato rimesso dalla corte di Spagna con puoco suo gusto, con aversi conferito sino a Sestri. E che per tutta l’Italia fosse stato mal visto da tutte le repubbliche e duci in essa dominanti. Anzi, s’avesse protestato il signor duca di Parma non volerlo per nessun modo accoglierlo nel suo Stato. Come pure esservi gli progetti della Pace, avendosi traposto un milord d’Inghilterra da parte del suo Dominante, perloché si sperava fra breve dover seguire nella cristianità la pace bramata.

Inoltre riferì sudetto signor generale Vaetemdum [sic] aver avuto notizia dal signor generale Vallas da Messina per rimettersi alcune lettere così al signor generale de Mercij, tudesco, come al signor marchese de Lede, vicerè delli spagnuoli. Come infatti questa mattina si rimese un trombetta con alcuni soldati a cavallo per consignarsi sudette lettere alli sudetti signori di Mercij, generale, e marchese di Lede, viceré. Peronde si credette esservi trattati di pace o qualche armestizio per alcun tempo, come da più tempo s’ha discorso.

 

25 febbraio 1720

La partenza dell’armata navale posticipata ulteriormente a causa delle avverse condizioni meteorologiche 25 febraro. Non cessarono sin a questo giorno l’esorcismi per placarsi la furia del vento. Poiché realmente sembrava che l’inferno s’avesse scatenato. Anzi, dalla devozione di questi spettabili signori giurati s’ha esposto giornalmente il Venerabile Santissimo Sacramento per sedarsi l’ira Divina. Poiché, persistendo nel porto l’Armata navale, molto nocumento recava non solamente nella città, soffrendosi molti patimenti oltre la carestia d’ogni vivere, pure nelle truppe con tutti gli officiali, così per mancanza di vettovaglie, come per il mantenimento delle loro persone, dovendo la magior parte commorare sopra mare, e di giorno e di notte, per non aver avuto tutti l’alloggio richiesto nella città, non ritrovandosi tant’abitazioni per accomodarsi come bramavano. Perloché per la strettezza sopra le navi e tartane di tante persone, oltre la cavalleria, e per il puzzore, la maggior parte delli marinari si ritrovava scemata, successa la morte d’alcuni, pure delli capitani e padroni di dette barche, ed altri gravamente infermi. E di più si ritrovavano molti soldati molt’afflitti; e discesi, condotti nel luogo deputato per ospidale. Per certo recava compassione pur a quei che li fossero stati nemici osservandosi tante angoscie, mal patimenti, carestia e disturbi, oltre gli furti, specialmente nella notte. Dovendosi star di sentinella nell’abitazioni dagli cittadini per non esser rubbati e per non seguir alcun inconveniente.

Con tutto che, comparsa l’alba, s’avessi osservato che fosse cambiato il vento di Libeccio, demostrandosi quello da Scilocco. Nondimeno da tutti gli piloti dell’Armata s’attestava non esser sussistente tal vento. Ma seguito sin a Vespro, si diede l’ordine che si preparasse la partita [partenza, ndr] di dett’Armata, con aversi posti nell’imbarcazioni così l’officiali come le truppe: solamente non imbarcarono gli infermi per non aver molto disaggio. Ma benché seguisse il medemo tempo da Scilocco, fu così continua la pioggia con neve per tutta la notte che non si diede principio per farsi la partenza.

 

26 febbraio 1720

La partenza dell’armata rimandata ancora una volta, anche se qualche unità riesce a navigare e ad abbandonare così il Porto di Milazzo. Le continue piogge provocano il cedimento del bastione che in contrada S. Cristofaro, allora territorio comunale di S. Lucia del Mela, proteggeva le contrade della Piana dagli allagamenti ed il Porto della torbide 26 febraro. Comparì in questo giorno nell’alba esser vento non solo da Scilocco, pure da Levante. Tanto che si rendeva più favorevole per partir l’Armata, con tutto che continuasse la pioggia. Tanto che le navi spiegarono le vele preparandosi per la partenza. E benché molte navi avessero partito, nondimeno l’altre imbarcazioni molto si trattennero, tanto per non aver marinari sufficienti, come per non parerli a molti padroni d’esser tempo proporzionato. Ed in questo, cessato lo Scilocco, si pose[ro] il vento di Levante con il Greco così guagliardi che volendo l’imbarcazioni uscire dal porto nemeno l’era permesso. Anzi, per essere dell’intutto discoperto sudetto porto, tutte le barche per non naufragare fu vuopo ben ormiggiarsi con ancore e capi, stando discosti dalla ripa nella quale molto si faceano sentire l’onde, rompendosi con pericolo di perdersi. Magiormente che si retrovavan tutte affollate, con esser al numero di ottanta, comprese le navi grosse, tolte le felughe. Ed avendo con detti venti approdato un vascello ben grosso venuto da Messina, si stimò portento non aversi rotto nella ripa, stimandosi per più peggio la pioggia continua, qual persistette per tutta la notte seguente. Perloché si placarono li sudetti venti di Levante e Greco, ma la quantità dell’acque per le continue pioggie fracassò quel bastione fortissimo fatto nella contrada nominata di San Cristofaro, nel territorio della città di Santa Lucia, affinché non si dilatasse quel fiume nomato di Santa Lucia con allagare tutta questa Piana. Perloché fracassato il bastione sudetto colla furia di molt’acque, si precipitarono queste, non avendo scorso nel letto del fiume, come pria, nella Piana di questa città, con aver fatt’argine devastando molte possessioni. Tanto che se non s’accomoderà (bensì con molto stipendio) sudetto bastione, non solo s’allagharà questo territorio, pure si devasterà tutt’il porto. Poiché l’acque che correano nel detto fiume, scorrendo nel mar di Ponente, verranno a precipitarsi con grandissimo danno in quello d’innanzi, perdendosi sudetto Porto.

 

27 febbraio 1720

Ulteriore tentativo di partenza dell’armata 27 febraro. Per tutta la notte scorsa si fece la diligenza d’ordine così del signor comandante della Piazza, come d’altr’officiali dell’Armata, per ritrovarsi tutti quei marinari di questa [città] ed esteri per imbarcarsi sopra quell’imbarcazioni dell’Armata. Poiché s’avea scemato nella magior parte delle persone prattiche per tal mistero [mestiere, ndr], per aver alcune morte e molt’inferme. E con tutta la diligenza possibile non si puoté far scelta più di venti marinari, per aversi nascosto gl’altri. E questa mattina comparì sedato quel vento così guagliardo per la continua pioggia, persistendo quello di Scilocco e Mezzogiorno. E benché si scorgesse da più piloti e prattici non esser tempo per farsi la partenza di dett’Armata, pure per conoscersi la scarsezza delle vettovaglie, la mortalità delle truppe e delli marinari, oltre le gravi malatie delli sudetti, avendosi pure scemato più e più cavalli, e [ancora] per li gravi patimenti sofferti, si diede il segno due volte della partenza col tiro del cannone. E ciò nonostante si trattennero tutte l’imbarcazioni sin alle ventidue ore di detto giorno, nel quale si principiaron a disancorarsi gli ferri e salire dal porto col vento di Scilocco e Mezzogiorno. Vedendosi da tutti gli cittadini di questa [città] far tripudij e giubili con quell’ansietà che si può credere, pregandosi S.D.M. [Sua Divina Maestà, ndr] che conducesse dett’Armata nel luogo designato, con far persistere per tutt’il viaggio quel vento propozionato per non retornar altra volta. E ciò non per alcun’emulazione o malvagità, solo per non osservar tanti patimenti patiti da tante truppe e personaggi di qualità per tanto tempo sopra mare, senz’aver le sue [loro, ndr] convenienze. Tanto più che militavano al servizio di Sua Maestà Cesarea e Cattolica nostro Padrone. Specialmente per non soggiacersi da questo Publico, dimorando l’Armata nel porto, ad alcun inconveniente che non si puotea evitare con tante truppe redotte senza quelle vettovaglie necessarie per il loro manutenimento, retrovandosi la città sprovista d’ogni vivere con ogni penuria da non credersi, solo da [eccezion fatta per, ndr] quei che l’osservavano di presenza.

 

28 febbraio 1720

Furti e prepotenze delle truppe imperiali ai danni dei civili 28 febraro. Non si puonno raccontare gli ladronecci seguiti in questo tempo fatti dalli soldati, così di giorno come di notte, volendo rubbare sfacciatamente senz’alcun ritegno. Ed il peggio era che non si puoteva nemen aprir la bocca non per timore, ma per non dar motivo agli comandanti ed officiali d’alcun riclamore. Ma si vedea rubbare e gli assassinati tacevano.

 

25-29 febbraio 1720

La carestia continua ad affliggere la popolazione 25 febraio sino a 29 detto. Non ha seguito specialità alcuna di considerazione. Solo che nella città s’ha patito di viveri con tutto che dalla Calabria avessero venuto molte vettovaglie. Bensì s’ha comprato il grano ad onze vent’una per otto grana. Poiché da questi spettabili signori giurati s’avea fatto provisione di molta quantità di formento, con aversi comprato a caro prezzo. Ed era vuopo smaldirsi col prezz’esorbitante.

 

29 febbraio 1720

Due sacerdoti ed un frate minimo, in viaggio via mare da Milazzo verso Messina, vengono assaliti e derubati da due imbarcazioni corsare che parteggiano per gli spagnoli. Al minimo viene sottratta seta di proprietà del convento di S. Francesco di Paola, che si stava tentando di smerciare a Messina Partirono da questa città li sacerdoti Don Francesco di Pascale e Don Domenico d’Amico sopra una feluga per conferirsi nella città di Messina. E sopra un’altra il fratello fra Bartolo di Nastasi dell’ordine di San Francesco di Paola. Ritrovandosi pure molt’officiali tudeschi con altri soldati. E per il camino sopra il Capo di Raisicolmo furon assaltati da due felughe corsare che predavano, militando a favore delli spagnuoli. Tanto che alli sudetti sacerdoti di Pascale ed Amico disbarcarono in quella spiaggia, con averli tolto tutto quello che portavano. Avendo rimasto il primo con una veste di camera, con tutto che all’altro non l’avessero tolto gli panni ch’avea di sopra. Ed al fratello paolino con averli preso, tra l’altre robbe, libre cento e due di seta in matassa, qual conducea per venderla nella città di Messina per conto del convento. In questa conducessero seco unitamente cogli tudeschi nello Scaro di Scinà. E si disse che giorni innanzi era una sola feluga corsara da Palermo. E nello Scaro di Fundachello pres’altra feluga con somma di denari dal Duca Spadafora. E così, armata quest’altra, correano queste ripe convicine tutte due, predando e rubbando a loro bellaggio. Inoltre si publicò che il fratello sudetto volse condursi cogli corsari affinchè puotesse recuperare la seta toltali dalli sudetti, per esser robba di chiesa. E delli Padri di questo convento si sperava che li fosse restituita detta seta, facendo alcun miracolo il Patriarca San Francesco (com’al solito). Magiormente che detto convento si retrovava tutto desolato e per bombe e palle di cannoni. E tutti l’effetti nella Piana - consistenti in vigne, celsi, alberi domestici, case ed altri - redotti in terreno publico, con gravissimi danni ed interessi.

 

1 marzo 1720

Torna a Milazzo, dopo lunga prigionia, il generale Veterani, liberato dal marchese di Lede A primo marzo. Il giorno scorso capitò in questa [città] il signor generale Veterani, qual dal giorno che seguì la battaglia tra gli Tudeschi e gli Sagnuoli - nel tempo che da questi si tenea l’assedio, [battaglia] che seguì a 15 ottobre dell’anno passato 1719 [l’anno corretto è il 1718, ndr] in questa città - restò prigioniero nella zuffa. E benché più e più volte avessero seguito molti cambij d’alcuni officiali, quest’officiale non volse mai conseguire tal cambio, con tutto che per la sua carica s’avesse preteso farsi detto cambio, equalandosi esso solo con molt’officiali spagnuoli. E si contentò più meglio restar da prigioniero nelli spagnuoli per molti mesi. Alla fine fu rimesso dal signor marchese di Lede, vicerè spagnuolo, su[l]la sua parola, con intendersi carcerato. E tutte le volte che fosse richiesto avrebbe retornato come prima, colla promessa di più di non prender l’arme contro detti spagnuoli. Con aver avuto il passaporto da detto signor marchese de Lede. Asserì questo signor generale a molti suoi confidenti che siano stati veridici gli avvisi della pace, sperandosi che avrà l’esecuzione. Inoltre che molto si bramava dall’esercito spagnuolo per togliersi da questo regno con ogni loro sodisfazione, tanto per li patimenti sofferti, come per non aver più speranza d’esser soccorsi dal loro re di Spagna. Affermava bensì questo personaggio ritrovarsi per tutto questo regno tredecimila soldati spagnuoli di fanteria scielti, con altri tremila di cavalleria. E per fine volea condursi nella città di Messina, da dove doppo far passaggio per Napoli. E tutte le volte non avesse ritrovato contradizione per la prigionia, retirarsi nel paese.

 

2 marzo 1720

Dubbi sull’infermità di Nicolò Cumbo, sergente maggiore di Patti 2 marzo. Da più giorni che il signor Don Nicolò Cumbo partì per la Comarca per esercitar la sua carica di sargento magiore di Patti. E benché s’avesse conferito nella città del Castro Reale, in quella s’infermò o finse non sentirsi molto bene, tanto che si retirò in questa sua patria. Bensì lasciò tutta la sua corte col maestro notaro, dal quale si continuò la visita della milizia per le terre convicine sogette alla sua giurisdizione.

 

I pozzogottesi inibiscono ai milazzesi di trasportare i mosti della produzione 1719 in città Nella vendemmia scorsa del 1719 fatta nella nostra Piana, con tutto che fossero stati slocati gli spagnuoli lasciando le trinciere in abbandono, con tutto che s’avessero sovente fatto a vedere per questa Comarca, non puoterono questi cittadini condur in questa città li vini mustali, tanto per non aver capacità ove ripostarli e nemeno permesero gli paesani della Comarca, particolarmente quei di Puzzo di gotto, che fossero trasportati in questa città. Perloché la magior parte di detti vini mustali con gravissime spese fu necessario condurli nella città di Puzzo di Gotto, da dove alcuni vendettero detti vini mustali in quella città. Ed alcuni se li